risposte domande di pagina 473-475-477-479-481

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1. Il presupposto su cui si è sempre fondata la conoscenza prima della Critica della ragion pura era il realismo ingenuo, cioè la concezione secondo cui la realtà esterna esiste indipendentemente dalla mente e viene riflessa passivamente dai nostri sensi e dalla nostra mente. In altre parole, si tratta della convinzione che il mondo esterno esista in modo oggettivo e indipendente dalle nostre percezioni e rappresentazioni di esso. mentre Kant ha introdotto la prospettiva della conoscenza come risultato dell'attività mentale, portando così alla rivoluzione copernicana in filosofia.

2. Kant invita a compiere un "tentativo critico", ovvero un esame critico delle facoltà cognitive umane, in particolare della ragione, al fine di determinare i limiti e le possibilità della conoscenza umana.

3. La regola che devi presupporre in te stesso "prima che gli oggetti ti siano dati" è la regola dell'uso delle categorie o concetti fondamentali della mente umana, come spazio e tempo, che strutturano e organizzano l'esperienza sensoriale per renderla comprensibile.

4. Quando Kant parla di "conoscenza a priori" si riferisce a conoscenze che non derivano dall'esperienza sensoriale, ma sono invece innati o precedono l'esperienza. Questa conoscenza è considerata universale e necessaria, e non dipende dalle condizioni particolari dell'esperienza.

I "concetti a priori" sono le categorie o concetti fondamentali della mente umana, come spazio, tempo, causalità, ecc., che sono considerati innati e determinano la struttura della nostra comprensione del mondo. Questi concetti sono presenti nella mente umana prima dell'esperienza sensoriale e sono indispensabili per organizzare e interpretare l'esperienza.

5. Il cambiamento di metodo proposto da Kant consiste nel passaggio da un approccio metafisico-deduttivo, tipico della filosofia precedente, a un approccio critico. Mentre la filosofia tradizionale spesso cercava di dedurre le verità fondamentali sulla realtà attraverso il ragionamento a priori, Kant sostiene che la validità di tali affermazioni deve essere sottoposta a un'analisi critica.

La portata "rivoluzionaria" di questo cambiamento metodologico risiede nella sua sfida alla concezione tradizionale della conoscenza e dell'ontologia. Kant sposta l'attenzione dalla domanda "Cosa possiamo conoscere?" alla domanda "Come possiamo conoscere?". Introduce la critica come metodo di indagine filosofica, affermando che la conoscenza è il risultato dell'attività mentale che struttura l'esperienza piuttosto che una semplice rappresentazione passiva della realtà esterna.

Questo cambiamento di metodo è "rivoluzionario" perché mette in discussione le fondamenta stesse della filosofia tradizionale, aprendo la strada a una nuova forma di indagine filosofica che si concentra sulle condizioni e sui limiti della conoscenza umana. Inoltre, promuove un'analisi critica delle facoltà cognitive umane, sfidando così molte delle convinzioni accettate sulla natura della realtà e della conoscenza.


474-475

1. La concezione di Kant dello spazio come forma a priori si basa sull'idea che lo spazio non sia una caratteristica intrinseca o una proprietà di oggetti in sé stessi, ma piuttosto una struttura innata della nostra mente che organizza e ordina le nostre percezioni sensoriali. Kant sostiene che lo spazio non può essere derivato dall'esperienza empirica, ma è piuttosto una condizione necessaria attraverso la quale possiamo percepire l'esperienza stessa.

Questo significa che lo spazio non è qualcosa che possiamo attribuire direttamente agli oggetti esterni, ma piuttosto una struttura cognitiva che usiamo per organizzare le nostre esperienze sensoriali. In altre parole, lo spazio non esiste indipendentemente dalla nostra percezione o dall'attività mentale, ma è piuttosto un presupposto fondamentale attraverso il quale percepiamo e comprendiamo il mondo esterno.

Pertanto, possiamo affermare che lo spazio non è "una proprietà di qualche cosa in sé" perché non è una caratteristica intrinseca degli oggetti stessi, ma piuttosto una condizione necessaria per la nostra percezione e comprensione di quegli oggetti.

2. Lo spazio può essere definito come una dimensione in cui gli oggetti esistono e si muovono. È una struttura astratta in cui possiamo collocare posizioni, estensioni e relazioni tra gli oggetti. Nella filosofia di Kant, lo spazio è considerato una forma a priori della sensibilità umana, ossia una condizione universale e necessaria attraverso la quale percepiamo e organizziamo le nostre esperienze sensoriali.

3. L'idea di spazio non avrebbe più significato se non fosse una condizione universale e necessaria della nostra percezione e comprensione del mondo esterno. In altre parole, se lo spazio non fosse una struttura innata della mente umana attraverso la quale organizziamo le nostre esperienze sensoriali, ma fosse solo un concetto arbitrario o contingente, allora l'idea di spazio perderebbe il suo significato fondamentale e la sua capacità di fornire un contesto coerente per la nostra comprensione del mondo esterno.

4. Per Kant, un giudizio vale incondizionatamente quando è fondato sulle leggi della logica e sulle categorie o concetti a priori della mente umana. Questi giudizi sono universalmente validi e non dipendono dalle circostanze particolari dell'esperienza. Ad esempio, i giudizi matematici, come "2 + 2 = 4", sono validi incondizionatamente perché sono basati su principi logici e concetti a priori come l'addizione.

5. Kant fa questa distinzione tra "cose" e "fenomeni" per sottolineare la natura della nostra conoscenza. Le "cose" si riferiscono alla realtà in sé, indipendentemente dalla nostra percezione o esperienza di esse. I "fenomeni", d'altra parte, sono le manifestazioni o le rappresentazioni delle cose che percepiamo attraverso i nostri sensi e la nostra esperienza.

Kant sostiene che le condizioni della sensibilità, come lo spazio e il tempo, determinano solo la forma attraverso cui percepiamo e comprendiamo i fenomeni, ma non ci danno accesso diretto alla natura delle cose in sé stesse. In altre parole, le condizioni della sensibilità strutturano la nostra esperienza, ma non ci permettono di conoscere la realtà in sé, al di là delle nostre rappresentazioni sensoriali.

Questa distinzione è fondamentale nella filosofia kantiana perché sottolinea il limite della conoscenza umana: possiamo conoscere solo i fenomeni, cioè le rappresentazioni delle cose condizionate dalle nostre facoltà cognitive, ma non possiamo conoscere le cose in sé stesse, al di là della nostra percezione e delle nostre rappresentazioni.

6. La concezione dello spazio e dell'estensione propria di Kant si differenzia da quella di Cartesio principalmente per il modo in cui vengono trattati e interpretati.

Per Cartesio, lo spazio e l'estensione sono entità reali e sostanziali che esistono indipendentemente dalla mente umana e costituiscono le proprietà fondamentali della realtà fisica. Cartesio considera lo spazio come una sostanza estesa, una sorta di contenitore in cui gli oggetti materiali sono disposti e si muovono.

Kant, invece, concepisce lo spazio come una forma a priori della sensibilità umana. Per lui, lo spazio non è un'entità o una sostanza reale, ma piuttosto una struttura innata della nostra mente che organizza e ordina le nostre percezioni sensoriali. Lo spazio è una condizione necessaria attraverso la quale percepiamo e comprendiamo l'esperienza, ma non possiamo dire nulla sulla sua natura ontologica indipendentemente dalla nostra percezione.

In breve, mentre Cartesio considera lo spazio come una realtà esterna e oggettiva, Kant lo interpreta come una forma soggettiva della nostra percezione. Questa differenza riflette una divergenza più ampia tra la filosofia cartesiana, che tende a trattare lo spazio come una realtà oggettiva, e la filosofia kantiana, che enfatizza il ruolo dell'attività mentale nell'organizzare l'esperienza.


476-477

1. La teoria del tempo come forma del senso interno di Kant implica che il tempo non sia una caratteristica intrinseca degli oggetti o degli eventi, ma piuttosto una condizione della nostra coscienza attraverso cui percepiamo e organizziamo il cambiamento. In altre parole, il tempo è una struttura innata della nostra mente che ci consente di percepire e comprendere la successione degli eventi.

Quando Kant afferma che il tempo non è qualcosa che "aderisca alle cose", vuole sottolineare che il tempo non è una proprietà degli oggetti stessi, ma piuttosto una condizione attraverso cui percepiamo il cambiamento negli oggetti e negli eventi. Il tempo non esiste indipendentemente dalla nostra coscienza o dalla nostra esperienza, ma è piuttosto una forma a priori del nostro senso interno attraverso cui organizziamo la nostra percezione del mondo.

Pertanto, il tempo non è qualcosa che appartiene agli oggetti o agli eventi come una caratteristica intrinseca, ma è piuttosto una struttura della nostra coscienza che ci consente di percepire il cambiamento e la successione.

2. Il tempo può essere definito come una dimensione nella quale gli eventi si susseguono in una sequenza ordinata. È una struttura astratta che ci permette di percepire e misurare il cambiamento e la successione degli eventi. Nella filosofia di Kant, il tempo è considerato una forma a priori della sensibilità umana, ossia una condizione universale e necessaria attraverso la quale percepiamo e organizziamo la nostra esperienza del cambiamento.

3. Il tempo è considerato la condizione formale a priori di tutti i fenomeni in generale secondo Kant perché è una struttura innata della nostra coscienza che organizza e ordina la nostra percezione del cambiamento e della successione. Poiché il tempo è una caratteristica universale e necessaria della nostra esperienza, viene applicato a tutti i fenomeni, indipendentemente dalla loro natura specifica.

In altre parole, ogni percezione che abbiamo, ogni esperienza che facciamo, è intrinsecamente legata al tempo. Non possiamo concepire un fenomeno che non si svolga nel tempo, poiché il tempo è la struttura attraverso la quale percepiamo il cambiamento e la successione. Pertanto, il tempo è considerato una condizione a priori perché precede e rende possibile la nostra esperienza del mondo fenomenico.

4. Quando Kant afferma che il tempo "non ha nessuna figura", si riferisce al fatto che il tempo non può essere visualizzato o concepito come un oggetto tridimensionale con contorni o forma. In altre parole, il tempo non è suscettibile di essere rappresentato nello spazio come un oggetto fisico.

Questa affermazione riflette la natura astratta del tempo come una dimensione nella quale gli eventi si susseguono senza avere una forma fisica o una struttura definibile. Il tempo è una condizione in cui le cose accadono, ma non ha una "forma" tangibile come gli oggetti fisici che possiamo percepire nello spazio. Pertanto, Kant sottolinea che il tempo non può essere concepito in termini di figure o contorni, ma piuttosto come una dimensione astratta in cui avviene il cambiamento e la successione degli eventi.

5. Nel contesto della filosofia kantiana, il termine "intuizione" si riferisce a una forma di percezione immediata e non concettuale. Kant distingue tra due tipi di intuizione: intuizione sensibile e intuizione intellettuale.

  1. Intuizione sensibile: Questo tipo di intuizione si riferisce alla nostra capacità di percepire gli oggetti attraverso i sensi. Ad esempio, vediamo un oggetto rosso, tocciamo una superficie ruvida o ascoltiamo un suono. Queste sono tutte esperienze intuibili sensibili.

  2. Intuizione intellettuale: Questo tipo di intuizione è più astratto e si riferisce alla nostra capacità di percepire concetti o idee che non possono essere derivati direttamente dall'esperienza sensoriale. Ad esempio, possiamo avere un'intuizione dell'infinito o della causalità, anche se non possiamo percepirli direttamente attraverso i sensi.

Quando Kant afferma che il tempo è un'intuizione, si riferisce al fatto che il tempo non è qualcosa che deduciamo o deduciamo tramite ragionamento, ma piuttosto qualcosa che percepiamo immediatamente e intuitivamente come una condizione della nostra esperienza. Il tempo è una forma a priori della sensibilità umana, quindi non è derivato dall'esperienza sensoriale, ma è piuttosto una struttura innata attraverso cui organizziamo la nostra percezione del mondo.

6. La concezione kantiana del tempo si discosta da quella di Newton e dalla fisica classica in vari aspetti significativi:

  1. Il tempo come forma a priori della sensibilità: Kant considera il tempo come una forma a priori della sensibilità umana, ossia una condizione universale e necessaria attraverso cui percepiamo e organizziamo la nostra esperienza del cambiamento e della successione. Questo significa che il tempo non è considerato una grandezza oggettiva indipendente dalla mente umana, come nella fisica newtoniana, ma piuttosto una struttura innata della nostra coscienza.

  2. Il tempo come non suscettibile di essere misurato: Per Kant, il tempo non è suscettibile di essere misurato in modo assoluto o oggettivo. È una dimensione nella quale gli eventi si susseguono, ma non ha una scala di misura esterna o indipendente. Questo contrasta con la concezione di Newton, che considerava il tempo come una grandezza assoluta, uniforme e misurabile indipendentemente dalla percezione umana.

  3. Il tempo come distinto dagli oggetti e dagli eventi: Secondo Kant, il tempo è una condizione attraverso cui percepiamo il cambiamento e la successione degli eventi, ma non è una caratteristica intrinseca degli oggetti o degli eventi stessi. Questo si discosta dalla visione newtoniana del tempo come parte integrante della struttura dell'universo fisico, in cui il tempo è considerato come una dimensione nella quale gli eventi si svolgono.

In sintesi, la concezione kantiana del tempo differisce da quella di Newton e dalla fisica classica perché considera il tempo come una forma a priori della sensibilità umana, non suscettibile di essere misurato in modo assoluto, e distinto dagli oggetti e dagli eventi stessi.


478-479

1. Il principio dell'"io penso" è centrale nella filosofia trascendentale di Kant e sottolinea il ruolo unificante della coscienza nell'esperienza umana. Secondo questo principio, l'"io penso" deve poter accompagnare tutte le rappresentazioni perché è la condizione necessaria per l'unità e la coerenza della nostra esperienza.

In altre parole, Kant sostiene che tutte le nostre percezioni, pensieri e rappresentazioni sono unite dalla coscienza di sé, dall'"io penso". Questo principio implica che tutte le nostre esperienze sono necessariamente correlate e ordinate dalla coscienza soggettiva dell'individuo. Senza questa coscienza di sé, le nostre esperienze sarebbero disperse e disordinate, e non potremmo avere un'esperienza coerente e unitaria del mondo.

Quindi, l'"io penso" deve accompagnare tutte le rappresentazioni perché fornisce l'unità necessaria alla nostra esperienza e alla nostra comprensione del mondo. È la coscienza soggettiva che unisce e organizza le nostre rappresentazioni, consentendoci di percepire e comprendere il mondo in modo significativo.

2. Kant esclude l'esistenza di un "Me stesso variopinto" in relazione alle varie rappresentazioni delle quali si può avere coscienza perché ritiene che l'identità personale e la coscienza di sé siano fondamentalmente unite dall'unità dell'"io penso".

Per Kant, l'"io penso" è la condizione necessaria che accomuna tutte le nostre rappresentazioni, fornendo un'unità fondamentale alla nostra esperienza. Sebbene le nostre rappresentazioni possano variare nel contenuto e nelle modalità di percezione, l'"io penso" rimane costante e unificante, sottendendo tutte le nostre esperienze.

Quindi, Kant sostiene che non esista un "Me stesso variopinto" separato dalle diverse rappresentazioni, ma piuttosto un'unità soggettiva che sottende e unifica l'intera gamma delle nostre esperienze. La coscienza di sé è quindi considerata come un'identità soggettiva fondamentale che persiste attraverso le varie rappresentazioni e esperienze, fornendo coerenza e continuità alla nostra esperienza personale.

3. Quando Kant parla di "appercezione pura" e "appercezione empirica", si riferisce alle diverse forme di coscienza di sé o di consapevolezza dell'io.

  1. Appercezione pura: Si riferisce alla consapevolezza di sé che è innata e universale, indipendente dall'esperienza empirica. È la capacità di essere consapevoli della propria identità e della propria esistenza come soggetto razionale. Questo concetto è legato all'idea kantiana dell'"io penso", che è la condizione a priori che unifica tutte le nostre rappresentazioni e percezioni. L'appercezione pura fornisce l'unità fondamentale alla nostra esperienza soggettiva.

  2. Appercezione empirica: Si riferisce alla consapevolezza di sé che deriva dall'esperienza empirica e dall'interazione con il mondo esterno. Questo tipo di coscienza di sé è condizionato dalle esperienze specifiche e dalle percezioni sensoriali che abbiamo nel tempo e nello spazio. È influenzato dalle varie rappresentazioni e percezioni che formano la nostra esperienza personale.

In sintesi, l'appercezione pura è la consapevolezza di sé innata e universale che unifica tutte le nostre rappresentazioni, mentre l'appercezione empirica è la consapevolezza di sé derivata dall'esperienza empirica e dalle percezioni sensoriali specifiche.

4. Questa affermazione di Kant chiarisce la natura dell'"io penso" e la sua funzione logico-formale nel processo della conoscenza. L'"io penso" non è un principio creatore o generatore di contenuto, ma piuttosto un principio unificante e organizzatore della coscienza. Kant ritiene che l'"io penso" fornisca l'unità necessaria alla nostra esperienza, ma non sia responsabile per la creazione delle intuizioni sensibili o delle rappresentazioni.

In altre parole, l'"io penso" non è responsabile per la molteplicità delle rappresentazioni o delle intuizioni sensibili che percepiamo; questa molteplicità è data solo nell'intuizione, ossia attraverso l'esperienza empirica. L'"io penso" ha piuttosto una funzione logico-formale nell'organizzare e unificare le nostre rappresentazioni, fornendo un'identità soggettiva che persiste attraverso le varie esperienze.

Quindi, Kant sostiene che l'attività sintetizzatrice dell'intelletto si esplica in relazione alla molteplicità delle rappresentazioni, ma queste rappresentazioni non sono generate dall'"io penso" stesso. L'"io penso" fornisce piuttosto il contesto unitario e coerente attraverso cui possiamo comprendere e organizzare le nostre esperienze, senza essere direttamente coinvolto nella creazione di esse.


480-481

1. Le idee della ragione, secondo Kant, svolgono una funzione regolativa piuttosto che costitutiva. Questo significa che le idee metafisiche, come l'immortalità dell'anima, Dio e la libertà, non possono essere dimostrate come verità oggettive attraverso l'esperienza empirica o il ragionamento deduttivo. Tuttavia, queste idee hanno uno scopo regolativo nell'indirizzare l'intelletto umano verso un fine pratico o morale.

Lo scopo a cui le idee della ragione indirizzano l'intelletto è quello di guidare l'azione umana e orientare la nostra ricerca di significato e scopo nella vita. Ad esempio, l'idea di Dio può fungere da principio regolativo per la morale e l'etica, guidando il comportamento umano verso l'idealità e il bene supremo. Similmente, l'idea di libertà può servire come guida per la nostra volontà e le nostre scelte, incoraggiandoci a perseguire la nostra autonomia e responsabilità morale.

Quindi, le idee della ragione, pur non potendo essere dimostrate come verità oggettive, hanno uno scopo regolativo nell'orientare l'intelletto umano verso valori e fini morali, fornendo così una guida per la nostra condotta e il nostro sviluppo spirituale.

2. Kant ritiene che l'illusione offerta dalle idee metafisiche sia "inevitabilmente necessaria" perché esse sono insite nella natura umana e emergono dal modo in cui la ragione cerca di superare i limiti della conoscenza empirica. Le idee della ragione, come Dio, l'immortalità dell'anima e la libertà, sono concetti che vanno oltre ciò che possiamo conoscere attraverso l'esperienza sensoriale o il ragionamento empirico.

Nonostante ciò, Kant riconosce che le idee della ragione svolgono una funzione regolativa importante nell'orientare l'azione umana e nell'aspirare a valori morali e spirituali. Tuttavia, poiché queste idee non possono essere dimostrate come verità oggettive, possono creare un'illusione di conoscenza che trascende i confini della nostra esperienza.

Questo senso di illusione è "inevitabilmente necessario" perché deriva dalla tensione tra le esigenze della ragione di cercare significato e scopo nella vita e i limiti della nostra conoscenza empirica. Nonostante l'illusione delle idee metafisiche, Kant suggerisce che possono ancora avere un valore pratico e morale nell'orientare la nostra condotta e il nostro sviluppo spirituale, anche se non possono essere accettate come verità oggettive.

3. L'idea dell'unità razionale della conoscenza non è ricavata dalla "natura" nel senso che non deriva direttamente dall'osservazione o dall'esperienza empirica della natura stessa. In altre parole, non possiamo dedurre l'unità razionale della conoscenza dagli oggetti o dagli eventi che osserviamo nel mondo esterno.

Secondo Kant, l'unità razionale della conoscenza è un'idea regolativa della ragione umana, che guida la nostra ricerca di coerenza e sistematicità nel processo di comprensione del mondo. È una concezione normativa o ideale della conoscenza che trascende i limiti della nostra esperienza empirica e che ci spinge a cercare l'armonia e l'unità nel nostro pensiero.

Quindi, mentre l'idea dell'unità razionale della conoscenza ci fornisce un ideale normativo da perseguire nel nostro sforzo di comprendere il mondo, non può essere derivata direttamente dall'osservazione o dall'esperienza empirica della natura. È piuttosto un principio guida che orienta il nostro pensiero e la nostra ricerca di significato e coerenza nel processo di conoscenza.

4. Le idee possono provocare contraddizioni e contrasti quando vengono trattate come concetti oggettivi che possono essere dimostrati come verità oggettive, piuttosto che come idee regolative della ragione umana. Quando le idee metafisiche vengono considerate come conoscenze oggettive e assolute, possono entrare in conflitto con le leggi della logica o con le evidenze empiriche.

Ad esempio, se consideriamo l'idea di un essere supremo o di Dio come una verità oggettiva, potremmo incontrare contraddizioni logiche nel tentativo di dimostrare la sua esistenza o la sua natura. Inoltre, le idee metafisiche possono entrare in contrasto con le leggi scientifiche o con le osservazioni empiriche della natura, creando conflitti tra le concezioni razionali e l'esperienza empirica.

Quindi, le idee possono provocare contraddizioni e contrasti quando vengono trattate come conoscenze oggettive e assolute, anziché come idee regolative che guidano il nostro pensiero e la nostra ricerca di significato e scopo nella vita.

5. Kant utilizza la similitudine del "regno dei fini" per chiarire il ruolo delle idee della ragione nei confronti dell'intelletto. Questa similitudine è presente nella seconda sezione della Critica della ragion pratica, dove Kant discute della moralità e dell'autonomia della volontà.

Nel "regno dei fini", Kant immagina una comunità di esseri razionali che agiscono secondo la legge morale, dove ciascun individuo è trattato come fine in sé e non solo come mezzo per altri fini. In questo regno ideale, le leggi morali sono universalmente valide e ciascun individuo è rispettato come un agente autonomo che segue le leggi morali per il semplice fatto di essere razionale.

Il significato di questa similitudine è quello di illustrare il ruolo delle idee della ragione nell'orientare l'azione umana verso valori morali e ideali elevati. Assimilando la moralità al "regno dei fini", Kant sottolinea che le idee della ragione, come l'idea di un ordine morale universale o la concezione dell'essere umano come fine in sé, non sono concetti empirici verificabili, ma piuttosto principi regolativi che guidano la nostra condotta e il nostro comportamento morale.

Quindi, attraverso questa similitudine, Kant illustra come le idee della ragione possano fungere da principi orientativi per l'azione umana, offrendo un modello ideale che ci guida verso valori morali e ideali, anche se non possono essere dimostrate come verità oggettive o verificate empiricamente.

6. La dottrina di Kant riguardo alla funzione regolativa delle idee della ragione sottolinea che queste idee non devono essere considerate come conoscenze oggettive, ma piuttosto come principi guida che orientano la nostra ricerca di significato e scopo nella vita. Le idee della ragione, come Dio, l'immortalità dell'anima e la libertà, non possono essere dimostrate come verità oggettive attraverso l'esperienza empirica o il ragionamento deduttivo. Tuttavia, queste idee svolgono una funzione regolativa importante nell'indirizzare l'intelletto umano verso valori morali e spirituali.

Il limite di questa dottrina risiede nel fatto che, sebbene le idee della ragione possano fornire un ideale normativo per la nostra condotta e il nostro sviluppo spirituale, non possono essere verificate empiricamente o dimostrate come verità oggettive. Questo può portare a una certa ambiguità o incertezza riguardo alla validità e all'applicabilità pratica di queste idee, specialmente in un contesto dove la conoscenza scientifica e empirica è considerata come la fonte principale di verità.

Dal mio punto di vista, la dottrina kantiana della funzione regolativa delle idee della ragione offre un importante quadro concettuale per comprendere il ruolo delle idee metafisiche nella nostra vita intellettuale e morale. Tuttavia, è importante riconoscere che queste idee, per quanto significative possano essere nell'orientare il nostro pensiero e la nostra condotta, rimangono fondamentalmente delle ipotesi o dei principi guida che non possono essere dimostrati come verità oggettive. Pertanto, mentre possiamo trarre ispirazione e guida da queste idee, è importante essere consapevoli dei loro limiti e non trattarle come conoscenze oggettive o verità assolute.


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